“Come sopravvivere al passaggio generazionale in azienda?” è la domanda che spesso mi rivolgono gli imperatori e gli eredi al trono che seguo in questa delicatissima fase aziendale.
Il passaggio generazionale dovrebbe essere un momento di grande condivisione e crescita, mentre il più delle volte diventa causa di conflitti e faide più o meno latenti.
Una ricerca del “Il Sole 24 ore” ci dice che solo il 31% delle aziende arriva in salute alla seconda generazione, mentre la percentuale scende al 15% per la terza generazione.
Spesso un passaggio generazionale fallisce perché tra junior e senior si creano barriere in cui la comunicazione sparisce, alimentando fratture e risse che, a volte, diventano insanabili.
Comunicazione tra junior e senior: come gestirla?
La comunicazione tra junior e senior in un passaggio generazionale è senza alcun’ombra di dubbio uno dei punti focali su cui lavorare.
Nei passaggi generazionali in cui vengo chiamato a dare supporto come allenatore, definisco sempre – in modo scherzoso, ma non troppo – il ruolo di Imperatore o Imperatrice ai senior e quello di Erede al trono ai junior.
Perché di fatto è così: un’azienda non è una democrazia, ma una “dittatura illuminata”, come piace definirla a me.
Per questo, bisogna stabilire fin da subito chi comanda e ha l’ultima parola: è la regola fondamentale che chiarisco sempre a tutti gli attori in gioco.
La comunicazione tra junior e senior in un passaggio generazionale è una faccenda spinosa: la famiglia si interseca con l’azienda e, per responsabilità dei senior, non vengono chiariti i ruoli. In particolare, si fa poco per crescere managerialmente, sia lato senior sia lato junior.
I junior si permettono cose che non oserebbero mai fare se lavorassero in un’azienda che non sia quella di famiglia; idem per i senior.
Separare l’azienda dalla famiglia è molto complicato, ma si può fare, e la comunicazione tra junior e senior può favorire questo gravoso compito, definendo i punti focali su cui lavorare.
Ecco, a mio parere, quelli più importanti da tenere sempre a mente:
- Chiarire in modo formale la differenza tra proprietà e governance dell’azienda.
- Definire i desideri reali di tutte le parti in gioco, al di là delle personali aspettative, e mappare le singole competenze per capire su quali aree lavorare.
- Stabilire in modo preciso ruoli e regole di rispetto.
- Definire quali sono i risultati da raggiungere per entrare nel management aziendale.
- Prevedere un percorso di crescita e affiancamento ai junior, in grado di fornire gli strumenti utili per ricoprire un futuro ruolo di comando.
- Non assegnare posizioni se non c’è la competenza per poterle ricoprire.
- Definire i patti di famiglia per tutelare tutte le parti in gioco, sia di chi ricoprirà ruoli di management sia di chi ne potrebbe essere escluso, per scelta propria o per manifesta incapacità operativa.
Non è un percorso semplice: richiede impegno e tanto lavoro e, per ottenere un risultato duraturo, spesso è utile valutare il supporto di diverse figure professionali, come:
- consulente patrimoniale;
- commercialista;
- avvocato;
- mentore;
- allenatore.
Tutte figure esterne che richiedono investimenti, certamente, ma che possono aiutare senior e junior nel progetto più importante per l’azienda, separando l’empatia familiare dall’oggettività professionale e facendo le scelte in modo più ponderato.
Tra empatia e oggettività: una transizione delicata
Per realizzare un passaggio generazionale con successo è necessaria una forte empatia da tutte le parti in gioco: la capacità di mettersi nei panni dell’altro è fondamentale, ma dobbiamo empatizzare mantenendo l’oggettività, che deve prevalere sull’affetto familiare.
Per potersi districare tra empatia e oggettività, è necessario che l’azienda sia considerata come il bene più prezioso da preservare, la priorità per tutti.
È l’azienda che ha permesso a tutta la famiglia di avere un lavoro, conquistando – mi auguro – un certo benessere per ogni componente del nucleo familiare.
L’azienda, per noi imprenditori senior, è come una figlia: in gioventù le abbiamo dedicato anima e corpo, spesso trascurando anche gli affetti più intimi, per garantire alle nostre persone più care tutto il benessere di cui oggi dispongono.
L’azienda ha rubato tempo ai figli: è un fatto con cui dobbiamo fare i conti, riuscendo al contempo a far pace con noi stessi per questa mancanza.
Per i junior, invece, l’azienda dev’essere vista come una sorella, che in passato ha provveduto a sostenere tutta la famiglia e ora, nel momento del passaggio generazionale, ha bisogno del sostegno di tutti per continuare a vivere.
Dico sempre ai junior in un passaggio generazionale: “L’azienda ha portato via tempo che i genitori imprenditori avreste voluto dedicassero a voi, questo è un fatto, ma vi ha permesso di avere un lavoro e tutto quello che vedete intorno a voi, anche questo è un fatto”.
Ecco perché, per realizzare questa visione, è necessario lavorare con tanta empatia e altrettanta oggettività. D’altronde, la transizione non è altro che un delicato equilibrio tra le parti in gioco: basta togliere un tassello per scombussolare tutto.
Equilibrio tra le parti: dal compromesso all’accordo
In un passaggio generazionale bisogna trovare il giusto equilibrio tra le parti, cercando di trasformare i compromessi in accordi, sulla base della nostra capacità comunicativa.
Per spiegarti meglio cosa intendo, definiamo la differenza tra compromesso e accordo:
- il compromesso è una soluzione in cui, una delle parti o tutte e due, non è pienamente soddisfatta, lascia un retrogusto amaro, non è una soluzione win-win;
- l’accordo è una soluzione in cui, tutte e due le parti si alzano soddisfatte e certe di avere portato a casa una soluzione win-win.
Questo è uno dei punti focali da tenere sempre ben presente, non solo in un passaggio generazionale: se pensiamo di dover sempre stabilire accordi, falliremo già in partenza.
Sì, lo so, riuscire a stipulare accordi è un’impresa non sempre così facile, soprattutto tra generazioni diverse, con mentalità e culture differenti.
Per esempio, tra genitori e figli è praticamente impossibile definire accordi in prima battuta: i giovani spesso sono “bianco e nero”, “tutto e subito”, “io ho ragione e tu hai torto”.
Se sei un senior, lo vedo che stai sorridendo, perché è proprio così!
Però c’è un però: anche noi senior siamo così, esattamente come i giovani, solo che avendo già ottenuto risultati importanti, caliamo dall’altro la nostra esperienza aggiungendo cose del tipo: “Tu non sai cosa significa…”, “Lo dico per il tuo bene”, “Io alla tua età…” e così via.
Se sei un junior, starai sicuramente sorridendo, non è forse così?
Te lo ripeto ancora una volta, così ti rimane ben impresso nella mente: l’equilibrio tra le parti consiste nel riuscire a trasformare i compromessi in accordi profittevoli per entrambi.
Questa è l’unica via percorribile. Non ci sono scorciatoie.
In conclusione, per funzionare davvero, il passaggio generazionale dovrebbe essere:
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- programmato per tempo, non quando noi senior siamo rincoglioniti e non ragioniamo più con lucidità, non quando i junior hanno 60 anni e sono ancora trattati come stupidotti;
- visto come l’ultima missione (per noi senior): la più bella e la più importante, certamente una delle più difficili, ma quella che ci permetterà di lasciare un segno e dare continuità alla nostra azienda;
- considerato come un lascito alle generazioni future.
Certo, è difficile, ma non impossibile. Io stesso, in questo momento, sto programmando il passaggio generazionale nella mia piccola azienda e so di cosa sto parlando, perché gli stessi tuoi problemi li vivo anch’io, tutti i giorni.
Se vuoi confrontarti con me su questo tema, scrivimi a [email protected]: sarà un piacere fare una bella chiacchierata con te!