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Questa parola è entrata nel nostro vocabolario ed è in uso comune ormai da parecchi anni.
Ma sappiamo cosa vuol dire realmente?
Su Wikipedia troviamo questa definizione: Con multitasking (in italiano multiprocessualità), in informatica, si indica la capacità di un software di eseguire più programmi contemporaneamente: se ad esempio viene chiesto al sistema di eseguire contemporaneamente due processi A e B, la CPU eseguirà per qualche istante di tempo il processo A, poi per qualche istante successivo il processo B, poi tornerà a eseguire il processo A e così via; il passaggio dal processo A al processo B e viceversa viene definito “commutazione di contesto” (context switch).
Possiamo subito notare che si fa riferimento volutamente esclusivo al settore informatico. Ma, come spesso accade, nell’uso comune molte parole vengono snaturate o decontestualizzate per prendere nuova vita ed esprimere concetti più allargati o nuovi.
La parola “multitasking” viene usata, non solo per descrivere un processo informatico, ma anche per indicare una metodologia di lavoro con la quale una persona gestisce più attività contemporaneamente.
Ma è davvero così? Rileggendo bene la definizione sopra riportata, vediamo che il sistema informatico di cui si parla non gestisce contemporaneamente (nel senso letterario del termine) più processi, ma semplicemente è in grado di passare da un processo all’altro molto velocemente. Talmente velocemente che sembra lo stia facendo nello stesso momento.
Vien da sé una domanda: ma noi siamo davvero multitasking?
Beh, considerando la capacità di gestire due o più processi saltellando da uno all’altro e poi all’altro ancora, direi di sì. Sulla velocità, di sicuro c’è chi è più abile di altri. Ma sulla contemporaneità dico no. Un grande no!
Perché? Provate anche solo a pensare a due cose contemporaneamente e ad osservare come si comporta la vostra attenzione su ciò che state pensando.
Sicuramente adesso avrete ben in testa i due pensieri, penserete al vostro cane e al vostro gatto e vi starete accorgendo che state pensando prima all’uno e poi all’altro e magari, per non fare un torto a nessuno, starete ora provando a pensarci contemporaneamente. Ma, a meno che non vogliate dar vita ad una nuova specie animale ibrida dal nome improbabile e dalle caratteristiche comuni sia al vostro cane che al vostro gatto, sicuramente non riuscirete a pensare a loro contemporaneamente.
La nostra mente non è nata per il multitasking, è nata per avere un numero immenso di connessioni al secondo e per essere in grado di collegare pensieri e nozioni più disparati in base alle esigenze e ad elaborare soluzioni creative riuscendo ad attingere all’immenso pozzo della nostra memoria.
Lavorativamente parlando, l’essere considerata una persona in grado di lavorare nella modalità multitasking, spesso è un vanto, un pregio, un quid in più che viene riconosciuto da chi ci circonda. Spesso, vedere qualcuno iper-indaffarato e che gestisce molte cose contemporaneamente pensiamo che sia terribilmente produttivo ed efficiente.
Ma è davvero così?
Anche in questo caso dico no. Un altro grande no!
Ma non lo dico solo io. Qualcuno di decisamente più autorevole: l’Università di Harvard ha effettuato uno studio dal quale è emerso che lavorando in modalità multitasking si riduce la produttività del 40%, lavorando quindi molto di più e producendo decisamente di meno!
La mente umana si distrae il 46,9% del tempo, qualsiasi cosa stia facendo. È fisiologico, ma ricordo che è una media. Giusto per tranquillizzare chiunque in questo momento, leggendo questo dato, stia pensando: ma no, non è possibile, io sono una persona molto concentrata, se perdessi la concentrazione così spesso non lavorerei nemmeno!
Durante questo studio è stato chiesto ai partecipanti di alternare periodi in cui si chiedeva loro di concentrarsi su una singola attività e in altri momenti di provare a concentrarsi su due o più attività.
Un altro dato che è emerso è che queste persone si sentivano più felici, quindi anche meno stressate, quando si concentravano su una singola attività.
Questo vuol dire che il nostro livello di felicità è anche correlato alla capacità di essere presenti alle nostre azioni.
Nel 2009 uno studio dell’università di Stanford ha dimostrato che il nostro cervello non è programmato per processare più attività nello stesso momento e quindi è più produttivo se si affronta una cosa alla volta. Con il multitasking peggioriamo il livello di efficienza, perché diventiamo più lenti nel passare da un’azione all’altra e incapaci di distinguere, nel bombardamento di stimoli che riceviamo, le informazioni importanti da quelle irrilevanti.
Abbiamo visto quindi che la multiprocessualità umana porta ad una dispersione di concentrazione e di energia non auspicabile per il benessere della persona.
Parliamo spesso di efficienza, che è fondamentale in qualsiasi azienda, ma cerchiamo di non confonderla e di riuscire a misurarla realmente. Facciamo dei test. Proviamo a svolgere due attività quotidiane insieme e il giorno dopo proviamo a concentrarci pienamente sullo svolgimento di entrambe, ma una alla volta. Misuriamo i risultati nel tempo e verifichiamo esattamente quanto siamo o non siamo multitasking.
Vi lascio con un proverbio africano: “Come si mangia un elefante? Un pezzetto alla volta”
E voi, come lo mangiate il vostro elefante?
Paola Bragatto
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