Un cliente scontento non soffre mai in silenzio.
Un cliente scontento non soffre mai in silenzio solo che, spesso, non lo dice a noi. Quello che hai appena letto è una frase c...
Palestra d'impresa / Come gestire un ciclo di chemioterapia senza abbattersi troppo.
Eccomi a una nuova puntata del racconto della mia avventura con il tumore: la chemioterapia.
Le 5 puntate precedenti, se vuoi seguire l’intera saga, le puoi leggere qui:
Prima puntata: Quando ti dicono che hai un tumore, di quelli brutti, cosa fai? Clicca qui per leggere l’articolo
Seconda puntata: Il mio percorso di guarigione dal tumore. Clicca qui per leggere l’articolo
Terza puntata: Il D-Day: operare il tumore. Clicca qui per leggere l’articolo
Quarta puntata: Il tumore al pancreas: ho fatto 5+1 al superenalotto. Clicca qui per leggere l’articolo
Quinta puntata: La vita è quello che ti accade mentre fai progetti. Clicca qui per leggere l’articolo
Tra tutte le cose che ho passato in questi mesi, la chemioterapia è quella che mi ha fatto e mi fa più paura: fare chemioterapia ti ricorda che, anche se il tumore non c’è più, anche se, nel mio caso, è definita “adiuvante” e quindi di prevenzione, mi ricorda che ci può essere una recidiva e che non è per nulla scontato che io non mi ammali nuovamente, soprattutto perché, quello del pancreas, è uno dei tumori più bastardi che ci sia.
La chemioterapia mi fa paura perché tra tutti gli effetti collaterali, più o meno importanti, non so quali mi troverò a dover gestire, ora ho terminato il terzo ciclo, ne mancano ancora nove, con una tac di controllo che farò a metà percorso, a maggio.
Tra gli effetti collaterali che mi sono stati prospettati abbiamo:
Io, nelle prime tre sedute fatte, non ho avuto problemi particolari se non un po’ di nausea e diarrea (qui mi salva la stomia perché evito di cagarmi addosso a ogni piè sospinto in quanto tutto finisce nel sacchetto che posso cambiare con calma senza problemi), qualche spasmo muscolare alle mandibole al primo morso di cibo che dura fino a due o tre giorni al termine del ciclo e l’intolleranza al freddo, anche questa per due o tre giorni al termine del ciclo.
Per quanto riguarda i problemi di tipo cognitivo, quelli li ho da sempre e sono stordito da prima della malattia, quindi non posso associarli alla chemioterapia.
Diciamo che, se anche i restanti nove cicli fossero come i primi tre, ci metterei la firma, anche se, mi dicono, che con l’aumento del numero di cicli fatti il fisico ne risentirà e ci saranno più problemi, per ora non ci penso e vado avanti con fiducia.
Considera che la prima chemio l’ho fatta a fine febbraio, in regime di ricovero, perché gli oncologi dovevano tarare le dosi dei farmaci e capire quale fosse il mix migliore per me, sono stato ricoverato quattro giorni durante i quali mi hanno fatto tutti gli esami, mi hanno installato un porter, un dispositivo sottopelle collegato alla vena giugulare a cui collegano i farmaci evitando di distruggermi le vene a ogni ciclo e mi hanno erogato i farmaci nella prima di dodici sedute che termineranno, se non ci saranno problemi, il mese di agosto.
Le sedute successive vengono fatte in regime di day hospital: il martedì vado a fare gli esami del sangue e un colloquio con l’oncologo che mi impegna per circa un’ora complessivamente.
Il mercoledì, se gli esami sono ok, vado in day hospital verso le 09.00 del mattino, mi assegnano un letto, mi sparano i primi due farmaci dentro al porter, questa procedura richiede circa cinque ore, al termine dei primi due farmaci mi attaccano il terzo che è in una bottiglietta con una pompa a lento rilascio della durata di 48 ore e mi rimandano a casa.
Se sto bene, posso fare tutto quello che voglio, con l’eccezione di prendere aerei, fare immersioni subacquee, buttarmi con il paracadute, scalare una montagna, cose così insomma, non proprio di attività quotidiana.
Diciamo che riesco a lavorare molto bene da remoto con i miei clienti e riesco a fare le attività importanti per il mio lavoro, che ogni tanto trascuravo o non dedicavo il giusto tempo quali studiare, formarmi e aggiornarmi sulle mie materie.
Il venerdì mattina, intorno a mezzogiorno, torno in ospedale, staccano tutto con un’operazione che richiede al massimo dieci minuti e sono libero per quattordici giorni prima di ricominciare il ciclo successivo.
Ho dovuto necessariamente riorganizzare tutto il mio timing e il lavoro ma è una cosa gestibile, anche dal punto di vista logistico.
Le prime sedute le ho vissute con ansia, apprensione e curiosità perché l’ambiente oncologico è completamente diverso dagli altri reparti ospedalieri.
L’oncologia è un ambiente ovattato, gli infermieri e gli oss sono particolarmente empatici e si prendono cura di te in modo che va oltre il loro dovere professionale.
Io mi sono sentito coccolato ed è una bella sensazione.
Gli oncologi, probabilmente fa parte del loro ruolo o dei personaggi che si costruiscono, sono invece piuttosto distaccati, freddi, molto diretti e terrorizzanti al primo impatto.
Infatti, la mia oncologa, nei primi incontri mi è stata terribilmente antipatica, non mi piaceva e non l’ho insultata solo perché mi è stato detto che era competente e quindi, questo, in questo caso, per me è la cosa più importante.
In realtà poi, mi è diventata più digeribile, mi ha spiegato che il suo ruolo è quello di dire le cose chiaramente, soprattutto ai testoni come me che affrontano la chemio in modo un pò inconsapevole.
Io, trattandosi di una chemio “adiuvante” che non serve per ridurre o combattere un tumore che non c’è più, ma che serve in modo preventivo, ero convinto che la mia chemio sarebbe stata quasi una passeggiata, una cosa molto leggera e poco impattante sia sulla mia operatività che sul mio fisico.
L’oncologa, essendosi accorta di questo mio pensiero un po’ fuorviante, ha avuto il compito di portarmi con i piedi per terra ed è, anche per questo, che il primo approccio non è stato propriamente amichevole.
Quindi, prese le misure, sto apprezzando anche questa schiettezza.
Per cui, cara oncologa, se mi stai leggendo, io ho deposto le armi e ti chiedo scusa se ti ho risposto a volte in modo scostante, tu fai il tuo, io faccio il mio e alla fine, se ti va, ci andiamo a bere una birra e fare una mangiata insieme.
L’oncologia è l’ambiente ospedaliero che mi sta toccando, emotivamente, di più.
In quei corridoi, in quelle stanze, si percepisce molto bene la vicinanza e la presenza della morte, in modo ovattato, è una sensazione strana.
Le persone soffrono in modo evidente, alcune hanno dei tumori inoperabili che i medici cercano di mantenere bloccati, alcuni si stanno sottoponendo ai cicli di chemio con lo scopo di ridurre la massa tumorale per renderla operabile, altri al termine dei cicli di chemio hanno verdetti definitivi per i quali non si può fare nulla se non rendere meno dolorosa e più sostenibile la morte imminente, alcuni sono arrabbiati, altri rassegnati, tutti siamo un po’ chiusi in noi stessi.
Si percepisce il senso di precarietà e, sbirciando nelle stanze o parlando con qualcuno, le letture, spesso, sono religiose, intimiste, come se ci si preparasse, se mai ci si possa preparare, al fine vita.
Io non sono credente, però, in quei corridoi, si respira, come ho scritto poc’anzi, un’aria strana, viene un po’ di voglia di fare i conti con sé stessi.
Leggo, lavoro, studio, scrivo e cerco di parlare il meno possibile con i miei compagni di stanza o di sala perché altrimenti mi deprimo.
Perché si, in queste prime sessioni ho toccato con mano una cosa che mi ha stupito ma che in realtà è una conferma a quanto sapevo già: la gente preferisce parlare delle proprie sfighe piuttosto che delle cose belle che ha.
Non si solidarizza per raccontare i progressi e i successi, ma per evidenziare le sfighe e i problemi.
Mentre ero ricoverato per la prima chemio, l’occasionale compagno di stanza, non perdeva occasione di raccontarmi come si sta male durante e dopo un ciclo di chemio e, vedendomi star bene, mi diceva: “Si, ora stai bene, ma poi vedrai come starai male”. Ogni volta che si parlava si finiva sempre su temi di tenore semi deprimente.
Mi faceva venire in mente la scena del film “Non ci resta che piangere” in cui, Mario (Troisi) affacciandosi da un loggiato vede un monaco che gli dice più volte: “Ricordati che devi morire” e lui risponde: “Si, mò me lo segno”.
Quella persona non era cattiva, anzi, e sono certo che mi volesse aiutare, tant’è che aggiunse: “Quando sarai più avanti, se qualcuno te lo propone entra nelle chat di chi sta facendo chemio, ci si scambia esperienze e consigli”
È successo: mi hanno proposto di entrare in una chat, proprio come mi era stato detto. Ho chiesto di vedere la chat: deprimente, persone che, giustamente, raccontano gli effetti collaterali e chiedono opinioni a chi, come loro, sta vivendo la stessa esperienza.
Intento nobile ma è una stronzata stare in quelle chat: ci si deprime e ci si abbatte, almeno, a me accade questo.
Ecco, se ci fosse una chat in cui si parla solo di cose positive ci entrerei, ma per ora non l’ho trovata e sto nel mio, a costo di sembrare uno stronzo asociale.
In occasione della terza chemio, quella che ho appena terminato, ho diviso la stanza del day hospital con la Mariuccia, una persona deliziosa, un trottolino di, stimo, oltre 70 anni che, vedendomi in una call con un cliente e sentendomi parlare di intelligenza artificiale, al termine ha iniziato a chiacchierare di tecnologia, mi ha citato Dante e quando ha saputo che sono di Ivrea mi ha recitato i versi di Carducci della poesia “Piemonte” in cui viene citata:” Ivrea la bella che le rosse torri specchia sognando a la cerulea Dora nel largo seno, fosca intorno è l’ombra
di re Arduino”.
Con la Mariuccia non abbiamo parlato del tumore, né del mio né del suo, non abbiamo parlato delle nostre sofferenze personali, ci siamo scambiati un po’ di opinioni e abbiamo sorriso insieme, ha lavorato alle poste e quindi conosce bene le relazioni con le persone, da come parla e dalle osservazioni che fa è una donna di cultura, curiosa e con gli occhi aperti sul mondo, una persona con cui si ha piacere di parlare.
Abbiamo parlato poco, ma abbastanza per dire di avere passato qualche ora con una persona piacevole.
Ecco, è la Mariuccia, o qualcuno come lei, che vorrei sempre come compagna d’avventura in questo percorso che sto facendo.
Ci sono tante persone, che mi vogliono bene, che mi suggeriscono di fare uso di integratori, di percorsi alternativi a supporto della chemio, persone che hanno avuto parenti con i miei stessi problemi o loro stessi hanno avuto la stessa esperienza che sto vivendo io, mi suggeriscono soluzioni che per loro hanno funzionato, da affiancare alla chemio per stare meglio.
Il fatto è che, per ora, io sto bene, gli effetti collaterali sono limitati e sotto controllo e non sento la necessità di integrare quello che mi stanno proponendo i medici con altri supporti.
Certamente, agli oncologi ho chiesto se posso o devo prendere integratori o cose simili suggeritemi, la risposta che mi è stata data è questa: “Non si preoccupi, se e quando servissero degli integratori saremo noi a darglieli, perché solo noi abbiamo sotto controllo tutti gli esami, i parametri e quello che sta accadendo nel suo corpo in questi mesi, qualsiasi cosa non prescritta da noi, potrebbe alterare i dati e mettere in difficoltà sia noi che lei”.
Ho percepito che questa risposta non mi è stata data per un’avversione ai metodi alternativi come molti potrebbero pensare, anche se probabilmente c’è, metodi alternativi che magari funzionano anche, mi è stata data per un ragionamento di protocollo medico e, per quanto mi riguarda, non fa una piega.
Considerando che due dei tre farmaci che mi stanno iniettando, se presi a dosi sbagliate sono mortali, pensare che qualcosa di non autorizzato o imprevisto possa scombinare il mix di farmaci che ora è in equilibrio, mi terrorizza e mi fa astenere da qualsiasi proposta alternativa.
Io penso che gli unici che possono dare suggerimenti siano i medici che mi stanno seguendo: gli effetti collaterali di una chemio sono quelli che ho elencato prima, sono noti ed è noto cosa fare se arrivano in quanto, i medici, mi hanno rilasciato delle ricette con una lunga lista di farmaci da assumere per ogni possibile effetto collaterale.
Per ora io mi sto attenendo, come un soldato che riceve degli ordini e li esegue, a quanto previsto dai protocolli, non prendo integratori suggeriti da amici, non faccio cure alternative anche se altri amici me le consigliano.
Grazie a tutti voi che me li state consigliando, so che lo fate per il mio bene, non offendetevi però se non raccolgo i vostri suggerimenti, non sono un testone, in questo post, come vi ho già detto personalmente, scrivo le mie motivazioni, che non sono per andare in contrasto con voi perché so che i suggerimenti me li date per il mio bene.
Vi voglio bene.
Mancano 9 sedute alla fine, sono al 25% del percorso completato, sta procedendo tutto come previsto, è iniziata la primavera e tutto intorno a me si colora quindi, avanti tutta, mi leggerete alla prossima puntata che non sarà prima del controllo di metà percorso che farò a fine maggio.
Grazie a te che hai letto fino in fondo questo articolo regalandomi il tuo tempo, anche se non ci conosciamo personalmente lo apprezzo molto e se invece, ci conosciamo personalmente, probabilmente ci stiamo scambiando dei messaggi o delle telefonate che mi danno forza e aiuto, sia in un caso, che nell’altro, siete preziosi per me.
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